«La poesia non si addice alla vita normale»: il memoir di Renzo Paris per Amelia Rosselli
Rispetto alla scrittura biografica, la memorialistica non prevede necessariamente un andamento programmatico e lineare, e una cronologia interna ampia e netta, ma segue un itinerario privato, più aperto e disteso, frammentario, che procede, appunto, per associazioni di memoria, da cui possono emergere, inaspettatamente, una molteplicità di fatti particolari, di miracolose variegature.
I rischi di un genere come questo sono, però, molti, a partire da quello dell’invenzione e dell’eccesso di lirismo. La voce narrante può cedere al bisogno egoistico di liberazione interiore, e distorcere e deformare i fatti, mancare di veridicità. Ma può anche, e questo sembra il rischio più reale, lasciarsi travolgere dall’effluvio emotivo, dall’ingorgo intimistico, e assottigliarsi, quindi, in un tono vago ed impressionistico, compromettendo l’acutezza e la lucidità del racconto. Il risultato è, dunque, una rinuncia dell’esperienza critica, e un’atmosfera di isolamento e di distacco dalla realtà, in cui non vi sono fenditure, e comunicazioni con l’esterno, e la validità letteraria dell’opera perde consistenza, in quanto il messaggio contenuto trascende la pura testimonianza e diviene semplice soliloquio. La sfida è, allora, quella della ricomposizione, dell’equilibrio tra partecipazione emotiva e partecipazione storica, come sosteneva Levi, attraverso la pratica esigente e rischiosa del dialogo con se stessi. Renzo Paris, con Miss Rosselli (Neri Pozza, 2020), riesce in questo non facile compromesso.
Tra pubblico e privato
Miss Rosselli non è una biografia vera e propria, ma un «memoir, che somiglia a un sonoro rullo buddista», scritto con un «linguaggio diaristico, inframmezzato da quello saggistico, spezzando il reale» (p. 31). Quindi, non è solo la vita esteriore della poetessa ad essere narrata (anche se non mancano storie e controstorie, episodi interessanti, dettagli insoliti), quanto il suo «sguardo radente», il magma interiore, la feroce sofferenza che sgorga, poi, con sapienza creativa, in una tormentosissima poesia affollata di significati, realizzata in un balzo, scombussolando tutti i programmi, in un continuo frugare il reale, senza imbrogli, ma con sfaccettature e nascondigli. E, d’altronde, come Paris ben sa, avendola conosciuta approfonditamente, forse la Rosselli non avrebbe amato una biografia pura, tradizionale, di quelle che raccontano troppo, senza scappatoie e vie d’uscita, se a Mariella Bettarini confessava nel 1974: «io sono per la divisione della vita privata da quella pubblica, cioè non parlo delle mie questioni private. Ne parlo molto privatamente con qualcuno»; e, successivamente, affrontando nello specifico proprio la questione dei rapporti tra poesia e biografia, a Gabriella Caramore: «È una brutta abitudine delle donne, autobiografie, poesie d’amore autobiografiche… eliminare sia il tu che l’io, piccolo alibi intimistico, e fare sì che la poesia avesse l’obiettività di un Pasternak dove l’io è pubblico, dove l’io è le cose che succedono».